
Il bambino
Il sangue urta il sangue, e il bambino
è già messaggero da altre
terre, altri verbi: è già nell’angelo.
Ho pronunciato la parola che fonda
i fiori, ho convertito
gli uccelli che annunciano l’inverno:
c’è qualcosa nel mio nome
che lo strazia e maledice.
Fiorire
Dolore di fiorire questo cardo
che collassa nella luce.
Vorrei guardare il cielo
Vorrei guardare il cielo, ma le stelle
mi aprono il sangue e disturbano
i versi in bocca ai morti:
stanotte mia madre non partecipa
al pane che si spezza, non consente
né risate né preghiere, capovolge
tutti i nomi e li scavalca;
stanotte mio padre non ricorda
quante volte ha indovinato, quante volte
la parola gli ha mozzato la parola.
Stanotte prendo l’ago e cucio
i miei occhi agli occhi di mia madre, prendo
un piccolo coltello e svuoto
le mie ossa nelle ossa di mio padre.
Vorrei guardare il cielo, ma le stelle
le ho tra i denti e fanno male.
Qualche fiore
L’angelo che emerge dalla crepa
strazia e trama, crocifigge
la luce che tossisce nelle vene.
I bambini sono a offrire ostinatissimi
qualche fiore dal giardino dove il passo
di un Adamo malaticcio ancora vaga:
rose orrende del giardino, mi acclamate
quale voce che vi ordina e vi taglia.
La stanza
Si ammala la parola, le mie
vertebre si curvano in silenzio.
Non piove che acqua sporca,
e questa stanza è troppo bianca:
morirò nel singhiozzo delle allodole.
Ancora mia madre
Più in basso, ancora
più in basso mia madre
assalta la neve, e cantando
setaccia gli inverni.
Venni a Sud da un fango
antichissimo, scoppiai
nel suo nome, e fu notte:
quanto male può fare
una ninna nanna di troppo?